Cavalese - Processo alle Streghe 2015 - Fiemme e Fassa - utilità, eventi, cinema, notizie

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Cavalese nel 1500 è un tranquillo villaggio, capitale di tutti le frazioni che formano la Comunità autonoma di Fiemme. Ma, un dì funesto, Cavalese e altre zone della vallata vengono sommerse dalle acque. Alcune case vanno distrutte e qualcuno ci lascia la pelle. Fenomeno naturale? Macché… Non ci sono dubbi: qualcuno ha compiuto malefici diabolici nella valle, provocando il disastro. Il rogo accesso da Innocenzo VIII fa, così, il suo ingresso pure nella pacifica Val di Fiemme.

La prima strega sospetta si rivela essere un uomo. Giovanni Dalle Piatte è un tipo davvero singolare: guaritore, cerusico, ma soprattutto chiacchierone. Egli viene processato l’8 febbraio 1501, perché si è assunto la paternità dell’alluvione di cui sopra… Ma se la cava con la messa al bando. In pratica deve allontanarsi da Cavalese. Così, Giovanni non si fa vedere per un po’. Pare che nel frattempo riesca a guarire un ricco feudatario della Val di Non. Poi, qualche tempo dopo torna. Non sa resistere al richiamo della valle. E della sua megalomania. L’imputato è recidivo. Giovanni viene processato una seconda volta il 7 dicembre 1504, ovviamente per non aver rispettato il bando. Il procedimento viene condotto dal giudice engandinese Domenico Zen, assistito da un consiglio di giurati presieduto dallo Scario, Simoneto fu Zaneto di Predazzo.

Se oggi possiamo raccontare questa storia lo dobbiano ai verbali scritti dal notaio del Tribunale, il bavarese Silvestro Leittner. Giovanni Dalle Piatte capisce ben presto che questa volta non riuscirà a cavarsela con poco. Per tirarsi fuori deve inventarsene una grossa, ma così grossa… Così, durante l’interrogatorio svolto nel palazzo vescovile, l’odierna sede della Magnifica Comunità a Cavalese, l’imputato inizia a raccontare di tali misteriose riunioni a cui avrebbero preso parte diverse donne del paese. Dalle Piatte è preciso quando indica i luoghi dove sarebbero avvenuti i maledetti convegni e perpetrati i malefizi diabolici, poi fa i nomi di ventotto ragazze appartenenti a famiglie povere di varie località della vallata. Il boia comincia a fregarsi le mani e Giovanni diventa il primo collaboratore di giustizia della storia. Delle ventotto donne accusate, sei riescono a fuggire prima dell’arresto e vengono condannate in contumacia. Le restanti sono sottoposte alle procedure imposte dalla giustizia fiemmese che godeva di una sua autonomia. Una volta registrate le testimonianze, rigorosamente anonime, il processo segue la prassi usuale: la donna viene rasata e sul suo corpo si va alla ricerca del cosidetto “bollo”, l’infamante marchio diabolico che poteva essere semplicemente un neo o una macchia della pelle, un callo o, ancora, una parte di epidermide insensibile al dolore. Quindi si passa alla tortura, il mezzo più efficace per far confessare agli imputati qualsiasi cosa.

Le accusate di stregoneria, che a volte erano guaritrici, erboriste, levatrici o semplicemente donne diverse, che per il loro stile di vita attiravano le invidie e le dicerie della gente, erano torturate in modo crudele per estorcere le confessioni che poi fruttavano loro la condanna al rogo. A Cavalese le imputate vengono sottoposte a supplizio nei sotterranei del palazzo vescovile, ora Palazzo della Magnifica Comunità di Fiemme. Difficile immaginare quali metodi venivano adottati verso le poverette nelle carceri del palazzo, si può solo immaginare lo strazio, il dolore fisico e morale che può spingere un essere umano a rinnegare se stesso e ad ammettere colpe non proprie, confessare azioni assurde.

Il 14 gennaio compaiono per prime davanti al Vicario, allo Scario e ai giurati Orsola di Trodena, Margherita di Cavalese e Ottilia di Predazzo. Seguono nei giorni successivi, Margherita “la Tessadrella” di Tesero, Margherita di Zanino, Valeria di Tesero e sua figlia Margherita, Elena di Varena e Dorotea di Predazzo. Sono accusate di eresia, abiura della fede cattolica, veneficio e altre malvagità, compresi rapporti sessuali col demonio. Di queste prime nove imputate, tre non reggono alle torture e periscono in carcere (Valeria, Dorotea e la moglie di Zanino). La figlia di Valeria viene graziata in quanto incinta. Le altre cinque vengono bruciate vive il sabato 15 marzo 1505 sul Doss de Ritzolis (oggi, de le Strìe), il giorno che precede la domenica delle Palme.

Il 21 febbraio viene processata Barbara “la Marostega” che morirà in carcere un mese dopo. Il 18 marzo è la volta di Margherita “la Vanzina” di Tesero, Anna Tretter, Giacoma Vinanti e Bartolomea. Tutte e quattro vengono messe al rogo il 20 marzo.

Infine, Caterina di Carano viene “combusta” il 30 settembre, dopo che in primo momento era stata rilasciata perché dichiaratasi incinta.

Il “pentito” Giovanni Dalle Piatte se la cava con qualche giorno di gogna. Pare che a tirarlo fuori dai casini sia proprio il suo paziente più famoso, quel feudatario noneso aiutato a guarire qualche anno prima. Da bravo collaboratore di giustizia, ora Giovanni si gode la sua impunità.



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